Sport e solidarietà: uniti al popolo Saharawi

Il viaggio dall’Italia a Tindouf non è lungo, prevede 2 voli di un paio d’ore ciascuno, eppure arriviamo a Smara dopo quasi 24 ore.
Nessuno si lamenta, al massimo si ironizza. Diventa già questo un modo per conoscersi meglio, il gruppo degli italiani è infatti composto da 42 persone pronte a correre nel deserto ma soprattutto a vivere una settimana insieme ai Saharawi.
Quando si parte per avventure del genere già si è consapevoli che si possono trovare solo che belle anime, e condividere momenti speciali anche se non si conosce nessuno.
All’arrivo ai campi profughi verso le 7 della mattina, si formano gruppetti di circa 5 persone che vengono assegnati alle famiglie Saharawi.
Sono le donne ad attenderci all’ingresso, sono lì da ore, dal buio della notte hanno visto l’alba in attesa di accoglierci, subendo anche loro i nostri ritardi…ma i sorrisi non mancano nemmeno stavolta.

La casa mi piace, con delle grandi stanze e un arredo piuttosto essenziale. Lungo tutto il perimetro delle pareti infatti si estendono svariati tappetini che hanno la funzione di divano durante il giorno e da letto la sera.
Cuscini sparsi e un tavolino centrale dove, seduti per terra, si consumano i pasti e il tradizionale rituale del tè, un momento davvero molto sentito dai Saharawi, un ritrovo in famiglia per confrontarsi e stare insieme.
Io, Giovanni, Rubens, il Buzz, Dino e Milena ci appropriamo di una di queste stanze dove stendiamo i nostri sacchi a pelo e iniziamo a famigliarizzare con l’ambiente che ci circonda.


Devo ammettere che di tutta questa esperienza, la cosa che forse temevo di più era il bagno… Noi siamo ‘fortunati’, abbiamo addirittura due turche e non una soltanto! Ma della doccia o altri comfort non se ne parla proprio, ci laviamo a pezzi da delle bacinelle di acqua ghiacciata che ogni tanto diluiscono con pentole scaldate sul fuoco. Le salviette umidificate sono una manna dal cielo!
Tutto si rallenta, tutto ci riporta a ciò che i nostri genitori o nonni hanno vissuto prima di una globalizzazione invadente. Non è così male, non è così difficile da gestire, certo sappiamo bene che si tratta di una settimana e non di una vita, vita che peraltro apprezzeremo di più negli agi che ci offre quando torneremo verso casa…
I fermenti lattici e un consumo di acqua sigillata e cibi cotti sono comunque d’obbligo, prevenire è meglio che curare! 😉
Con questa incetta di emozioni e stimoli, ci abbandoniamo a qualche ora di sonno prima di integrarci col nuovo mondo…

Ecco un breve riassunto di ciò che abbiamo vissuto…

Una sera ci sediamo a consumare del Tè con il capo famiglia e i due figli, le donne sono a cucinare e ogni tanto fanno capolino le bimbe a riempirci di baci e attenzioni.
Noi siamo curiosi di conoscerli meglio e addentrarci nei temi così sensibili della loro condizione da rifugiati
Il papà ha vissuto tutto dalle origini, ben 42 anni fa quando scoppiò la guerra con il Marocco e furono costretti a scappare. Lui parla solo Saharawi e a tradurre ci pensa uno dei due ragazzi, Baddi, giovane e intraprendente, parla ben tre lingue: Saharawi, spagnolo e inglese.
Mi viene da chiedergli cosa sogna e se potesse scegliere una strada da intraprendere nella vita quale sarebbe. Ma lui non si concede ‘il lusso’ di sognare… Più volte risponde: “Combattere per la libertà”.
Mi sento quasi a disagio per averlo chiesto, forse per non aver avuto quella sensibilità di capire che, nonostante si possano avere dei talenti, la situazione è dura e nulla vale più della libertà. Nemmeno andarsene è contemplato, un po’ per le possibilità limitate, ma soprattutto perché si lotta anche per i propri cari.
E’ stato disarmante, uno di quei momenti che ti sbattono la realtà in faccia e aiutano a comprendere cosa sta succedendo.

Un altro colpo in questo senso mi arriva quando andiamo al muro di confine tra i Saharawi e il Marocco.
Facciamo tra andata e ritorno 8 ore di viaggio stipati sopra un camion e seduti per terra, siamo in tanti e di Nazionalità diverse, il viaggio è un po’ pesante ma ancora una volta si ironizza o si soffre in silenzio.
Quando arriviamo a destinazione, veniamo scortati lungo un percorso tracciato e delimitato per essere in sicurezza, la terra che ci circonda è disseminata per interi km di mine anti uomo…
C’è chi urla e protesta portando bandiere Saharawi in corteo, c’è chi come me piomba nel silenzio.
Un paio di uomini tra quelli che ci scortano vanno verso il muro per appendere una bandiera in senso di protesta, lanciando qualche pietra oltre confine. Per qualcuno sembra una provocazione, per me un grido di dolore.
Come si può non provare rabbia? Come potremmo reagire noi se fossimo costretti a partire lasciando alle spalle tutto ciò che ci appartiene, anche pezzi di famiglia…
Abbiamo ascoltato tanti racconti di vissuti pesanti e altri, seppur taciuti, li abbiamo letti negli occhi.
Ho visto anche tanta fierezza e combattività, per non parlare della dolcezza, soprattutto dei bambini!


Ogni passeggiata era ‘scortata’ da una loro presenza e una piccola manina che cercava la nostra.
Erano curiosi di conoscerci, vedere le foto che li ritraevano e timidamente scrutare come siamo abituati a vivere…
Ogni dimensione ha la sua magia e autenticità, e si impara davvero molto da realtà come queste…ma davvero prego e medito per loro affinché possano vivere al più presto nella libertà.

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